Il Salvator Mundi: un Leonardo da Record.. con qualche riserva
Leonardo, si sa, ci ha sempre fatto sognare. Basta pronunciare il suo nome per cogliere quella potente aura di bellezza, grandezza e mistero che circonda i grandi artisti della storia. Considerato una delle menti più brillanti e versatili dell’umanità, è stato un lungimirante e visionario ingegnere, un infaticabile e scrupoloso scienziato, un raffinato e moderno pittore, (oltre che musicista, poeta, scenografo) contribuendo a portare alla massima espressione il Rinascimento italiano.
All’interno della sua sconfinata e geniale produzione, pochi sono i dipinti sopravvissuti alla prova del tempo e che attraversando i secoli sono giunti fino a noi: circa una ventina, tra cui alcuni tutt’ora dalla dubbia autenticazione. Tra tutti, in questi giorni, spicca sicuramente il Salvator Mundi: un’ opera destinata a far parlare di sè ancora per molto. Battuto all’asta da Christie’s per 410 milioni di dollari (450 con i diritti d’asta) è il quadro più pagato di sempre, stracciando i record precedenti di Gauguin e De Kooning (300 milioni entrambi). Il quadro volerà negli Emirati, e sarà esposto al museo Louvre di Abu Dhabi e lì rimarrà in esposizione permanente. Ma non è solo per l’aggiudicazione da capogiro (qui il video dell’asta) che si parla del Salvator Mundi: rimangono ancora diversi dubbi sulla sua autenticità, come per diverse altre opere attribuite al grande maestro (La Madonna dei Fusi o Bacco, ad esempio).
La storia di questo piccolo olio su tavola, datato 1493 circa (66 x 46 cm, dimensioni paragonabili a quelle della Gioconda) si perde in quella delle sue numerose copie: significativa quella del 1650 a opera di Wenceslaus Hollar, copiata quando il dipinto si trovava nella collezione di Carlo I d’Inghilterra, il quale aveva acquistato l’opera in Italia. Alla morte del re le sue collezioni vengono disperse e il quadro passa di mano in mano attribuito ai seguaci della scuola leonardiana (c’è chi cita Bernardino Luini, chi Francesco Melzi). La sua prima asta non è particolarmente entuasiasmante: nel 1958 Sotheby’s lo batte per 50 dollari, mentre nel 2002 un uomo d’affari statunitense lo acquista sempre in asta per circa 7500 sterline. Dopo un restauro che ha visto la rimozione di molti strati di pittura aggiunta nei secoli (pesante la ridipintura seicentesca che aveva mascolinizzato la capigliatura e aggiunto i baffi “alla gatto”, di moda in quel periodo), l’impianto originale è riemerso così come la sua attribuzione da parte di critici e studiosi di fama internazionale. Per gli esperti convocati per esaminarlo alla National Gallery nel 2010, dov’era stato in mostra, si tratta di un opera di Leonardo.
Tuttavia, non tutti i pareri si sono dimostrati favorevoli. Carlo Pedretti o Walter Isaacson, ad esempio, si sono dimostrati scettici. Il primo parla di “sofisticato affare di marketing” che punta a rilanciare un’opera che “basta guardare” per avere dei dubbi, il secondo indaga la composizione dell’opera e si concentra sulla sfera che Cristo tiene in mano. Secondo Isaacson è impensabile che un uomo di straordinaria cultura come Leonardo non abbia riprodotto dei particolari importanti sul globo che tiene in mano, trattando la sfera come se fosse una bolla di vetro vuota priva dei riflessi e delle distorsioni che dovrebbe naturalmente riprodurre la sua superficie. Un’ “anomalia sconvolgente”, soprattutto considerato il fatto che Leonardo in quel periodo era alle prese con studi sulla luce e sull’ottica.
Il Salvator Mundi è un Cristo benevolo, non giudicante, che benedice e protegge con la mano destra e che con la sinistra fa dono di tutto il Cielo, della vita eterna, simboleggiata dalla sfera vuota. E’ un Messia, ma non è un Re: la sua presenza è fraterna e pacata, portatore di un’umanità che trascende la Chiesa, non chiede di essere adorato su un trono. La pietra che ha sul petto all’altezza del cuore è un rubino, una pietra utilizzata nel matrimonio, simbolo di amore, anche passionale. Una perla invece ferma i due risvolti dell’abito, poco sotto: è un simbolo femminile e delicato. La presenza del rubino e della perla sembra suggerirci una compresenza tra maschile e femminile tipica della produzione leonardesca, oltre a un’ ambiguità sessuale che possiamo trovare anche ad esempio nella Gioconda, ma soprattutto suggerisce un amore universale e spirituale, che trascende i sessi. E’ un’opera dall’apparente semplicità, ma che si fa sicuramente carico di una serie di valori importanti e straordinariamente attuali, oltre al mistero che riguarda la sua attribuzione. E pur vero che Leonardo era profondamente geloso della sua solitudine, e non si circondava volentieri di proseliti. L’opera potrebbe essere una delle copie attribuite alla sua scuola postuma, ma l’aura misteriosa e allo stesso tempo benevola e a suo modo rivoluzionaria porta con sé l’impronta del genio.